Depranocitosi

Cos’è la malattia drepanocitica?

La malattia drepanocitica o anemia falciforme o Sickle Cell Disease (SCD) è una malattia ereditaria dell’emoglobina, causata da una mutazione genetica che induce un difetto qualitativo dell’emoglobina, con formazione di un’emoglobina anomala, l’emoglobina S (HbS), responsabile poi delle manifestazioni cliniche.
Si tratta di una malattia a carattere autosomico recessivo e rappresenta la più frequente emoglobinopatia presente in Italia oltre ad essere la malattia genetica tra le più diffuse al mondo.
In origine endemica in Sicilia e nell’Italia meridionale, negli ultimi decenni, grazie ai fenomeni migratori da Paesi in cui la malattia ha una elevata prevalenza, si è notevolmente diffusa in tutto il territorio italiano.
Sotto il termine di malattia drepanocitica o SCD sono raggruppate sia la forma omozigote (SS) sia le forme da doppia eterozigosi (βth/S, SC, SE, SD Punjab, S/Lepore Boston, etc..). Anche nelle doppie eterozigosi, poiché è attivo solo (β0/S) o prevalentemente (β+/S) il gene S, l’emoglobina sintetizzata è per la maggior parte HbS, pertanto le manifestazioni cliniche saranno simili alle forme omozigoti (SS). Lo stesso vale per le forme in cui l’HbS si associa ad altre varianti anomale dell’emoglobina (SC, SE, SD Punjab, S/Lepore Boston), il quadro clinico rientra nella SCD.
I portatori di trait S (AS) sono in genere asintomatici.

Le manifestazioni cliniche della malattia dipendono dalla presenza dell’emoglobina S che, avendo proprietà chimico-fisiche differenti rispetto all’emoglobina A (HbA), ha la tendenza, in determinate condizioni, a polimerizzare e precipitare all’interno del globulo rosso conferendogli la caratteristica forma a falce (sickle). La cinetica di polimerizzazione dipende dalla concentrazione intracellulare di HbS e dal grado di ossigenazione cellulare.
Tra i fattori che favoriscono la polimerizzazione dell’HbS e quindi il fenomeno di falcizzazione ricordiamo:
–  l’ipossia
–  la disidratazione
–  la febbre
–  gli sforzi prolungati
–  l’altitudine
–  il freddo
–  le forme asmatiche
–  le apnee notturne da sindrome ostruttiva ORL
Altri fattori che contribuiscono alla polimerizzazione dell’HbS sono inoltre l’aderenza dei globuli rossi drepanocitici all’endotelio vascolare, la viscosità ematica (favorita ad esempio dalla disidratazione e dalle trasfusioni), la piastrinosi e la neutrofilia, queste ultime derivanti dallo stato infiammatorio cronico tipico dei soggetti affetti da SCD.
La riduzione invece della concentrazione di HbS, per esempio in presenza di una emoglobina fetale elevata, riduce la polimerizzazione e quindi la falcizzazione delle emazie.

Quando sospettare la malattia drepanocitica e come fare la diagnosi?

In presenza di anemia emolitica e/o altre complicanze tipiche (sindrome toracica acuta, crisi dolorosa, ischemia cerebrale, etc..) e etnia compatibile con quelle provenienti dai Paesi in cui la malattia drepanocitica è endemica, il sospetto diagnostico diventa molto forte. La diagnosi di laboratorio è relativamente semplice e si avvale, oltre che dell’emocromo e degli indici di emolisi, dello studio delle frazioni emoglobiniche, che mette in evidenza la presenza dell’HbS in percentuale elevata e l’assenza (oppure presenza in piccolissima percentuale) di HbA. La diagnosi molecolare viene poi eseguita a completamento diagnostico e consente sia di confermare la diagnosi sia di identificare la presenza dei cosiddetti “geni modificatori”, come ad esempio le mutazioni alfa talassemiche o la carenza dell’enzima G6PDH, che possono influire sull’espressività clinica della malattia.

Quali sono le manifestazioni cliniche tipiche della malattia drepanocitica?

Tra le principali ricordiamo:
–  Anemia emolitica cronica
–  Crisi dolorose vaso-occlusive
–  Sindromi da sequestro (splenico o epatico)
–  Crisi aplastiche (spesso associate a infezioni da Parvovirus B19)
–  Eventi cerebrovascolari (stroke, lesioni ischemiche silenti)
–  Manifestazioni polmonari (acute chest syndrome, ipertensione polmonare)
–  Priapismo
–  Infezioni (rischio infettivo elevato a causa dell’asplenia funzionale)
–  Manifestazioni osteoarticolari (osteomielite, infarti ossei, necrosi avascolare della testa
femorale e/o omerale)
–  Nefropatia e ipertensione arteriosa
–  Manifestazioni oculari (retinopatia proliferativa)
–  Ulcere cutanee, prevalentemente agli arti inferiori (più frequenti nei soggetti di età>50 anni)

Le crisi vaso-occlusive rappresentano sicuramente la manifestazione clinica distintiva della SCD. Potenzialmente tutte le condizioni che determinano una riduzione della ossigenazione dell’emoglobina possono scatenare una crisi vaso-occlusiva. In relazione al distretto o organo interessato, la vaso-occlusione può manifestarsi sotto forma di crisi dolorosa, infarto ischemico, sequestro, sindrome toracica acuta (acute chest syndrome, ACS), etc… Spesso il fattore scatenante è facilmente identificabile (disidratazione, sforzo fisico, episodi infettivi, freddo), altre volte rimane ignoto.
La SCD è una malattia tempo dipendente e la tempestività nel controllo del dolore è fondamentale per ridurre la morbilità (in particolare possibile cronicizzazione del dolore) e le possibili complicanze acute (ACS in particolare). Il trattamento del dolore pertanto deve essere instaurato il più rapidamente possibile, entro 30 minuti dall’esordio, già a domicilio. Da questo deriva l’importanza della presa in carico specialistica in Centri di riferimento che abbiano un’ expertise per questa malattia rara e che siano in grado, sin dalla diagnosi, di informare i genitori sulle caratteristiche di questa emoglobinopatia e sulla gestione delle complicanze precoci e tardive, mettendo in atto un follow-up specialistico e dedicato.
Numerosi programmi di screening, disponibili in Europa e Nord America, si sono dimostrati efficaci nella precoce identificazione dei soggetti affetti e nel loro inserimento in programmi di presa in carico specialistica sin dai primi mesi di vita, consentendo un miglioramento dell’outcome clinico (mortalità, morbilità, qualità di vita) oltre che una riduzione dei costi per i sistemi sanitari nazionali.

La presa in carico specialistica in Centri di Riferimento per patologia già dai primi mesi di vita ha lo scopo di:
–  informare i genitori sulle caratteristiche della malattia e in particolare sulle caratteristiche genetiche (counseling genetico) per eventuali future gravidanze e/o screening di eventuali sorelle/fratelli
–  informare i genitori sui segni e sintomi di allerta che devono indurre una valutazione clinica urgente dal curante o in ambiente ospedaliero
–  raccomandare la stretta osservanza del calendario vaccinale, comprese le vaccinazioni supplementari previste per le categorie a rischio come la SCD
–  iniziare precocemente la profilassi antibiotica (prevenzione infezioni pneumococciche e altri germi capsulati)
–  eseguire esami ematici per valutare in particolare il tasso di emoglobina di base e gli indici di emolisi

Follow up

Il follow up specialistico prevede invece uno screening di tutte le eventuali possibili complicanze della malattia, in particolare:
–  doppler transcranico annuale (screening vasculopatia cerebrale, valutazione rischio di stroke)
–  ecografia addominale annuale (screening litiasi biliare e/o splenomegalia)
–  valutazione cardiologica con ecocardio annuale (screening cardiopatia da anemia cronica e/o
ipertensione polmonare)
–  angioRMN cerebrale secondo necessità (in caso di doppler transcranico patologico) e
comunque almeno ogni 5 anni a partire dai 7-10 anni (screening lesioni ischemiche silenti,
arteriopatia cerebrale, etc)
–  valutazione pneumologica con spirometria (screening patologia ostruttiva ORL meritevole di
trattamento)
–  valutazione ortopedica secondo necessità (screening necrosi avascolare testa femorale e/o
omerale)
–  valutazione nefrologica secondo necessità (screening nefropatia)
–  valutazione oculistica con fundus oculi annuale (screening retinopatia drepanocitica), in
particolare per i pazienti affetti da doppia eterozigosi SC
–  esami ematici ogni 4-6 mesi per valutare tasso di emoglobina basale e indici di emolisi,
eventuali riacutizzazioni dell’anemia, funzionalità epato-renale, ricerca microalbuminuria
In caso di intervento chirurgico, è fortemente raccomandato preparare il paziente con trasfusione profilattica (trasfusione semplice o EEX a seconda dei livelli basali di emoglobina e della durata e tipo di intervento) con l’obiettivo di ridurre i livelli di HbS al di sotto del 30-40%. La terapia trasfusionale deve essere eseguita ad una distanza non superiore ad una settimana dall’intervento chirurgico programmato.

GRAVIDANZA

La gravidanza di una donna affetta da SCD, pur rimanendo ad alto rischio, al giorno d’oggi è possibile grazie ad una gestione multidisciplinare in grado di ridurre significativamente i rischi per la madre e per il nascituro. Il ruolo del regime trasfusionale profilattico non ha ancora un consensus generale, così come la profilassi tromboembolica.
Fondamentale è il counseling preconcezionale allo scopo di/
–  raccolta anamnestica dettagliata, in particolare su eventuali precedenti gravidanze
–  screening per la ricerca di emoglobinopatie nel partner e quindi eventuale rischio di
trasmissione della SCD al nascituro
–  informazione sui rischi correlati alla gravidanza in caso di donna affetta da SCD, le opzioni
terapeutiche, la possibilità di effettuare diagnosi prenatale
–  sospensione eventuale terapia con idrossiurea almeno 3 mesi prima del concepimento, per
il potenziale effetto teratogeno
–  sospensione eventuale terapia ferrochelante (rischio teratogeno) e di eventuali altre terapie
antiipertensive (ACE inibitori, beta bloccanti)
–  raccomandare l’assunzione dell’acido folico (5 mg/die, a differenza dello standard 0.4
mg/die nelle gravidanze non SCD)
Il regime trasfusionale profilattico è consigliato alle pazienti con un fenotipo severo della patologia (in particolare in presenza di danni d’organo) o in presenza di pre-eclampsia e eclampsia. Si ricorda che in caso di parto cesareo, come sempre in caso di intervento chirurgico, le pazienti devono essere preparate con profilassi trasfusionale.

TERAPIA


La malattia drepanocitica è una malattia cronica, tutte le opzioni terapeutiche attualmente disponibili mirano a ridurre la frequenza delle crisi vaso-occlusive e il rischio di complicanze acute e tardive. L’unica terapia con la quale è possibile ottenere la guarigione è il trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) che è però riservata ai pazienti con complicanze severe nonostante la terapia con idrossiurea. Negli ultimi anni, inoltre, la terapia genica sembra stia dando risultati promettenti ma si tratta ancora di una terapia sperimentale.
Le opzioni terapeutiche attualmente in uso sono:
– terapia con idrossiurea
– terapia trasfusionale in acuto o cronico (trasfusione semplice di GRC o scambi eritrocitari manuali o eritroaferesi)
– sorveglianza del sovraccarico marziale e eventuale terapia chelante
– trapianto di CSE
Tra i nuovi farmaci promettenti ricordiamo:
– voxelotor(anti-sickling, riduce i fenomeni vaso-occlusivi)
– crizanlizumab (anticorpo monoclonale che blocca l’adesione delle emazie falcemiche all’endotelio vascolare)
L’efficacia clinica e la scarsa tossicità dell’idrossiurea sono state ampiamente dimostrate da numerosi studi clinici. Essa è in grado infatti di ridurre significativamente l’incidenza delle crisi vaso-occlusive così come gli episodi di sindrome toracica acuta polmonare e il fabbisogno trasfusionale. L’idrossiurea inoltre si è dimostrata in grado di prevenire il danno d’organo e favorire l’accrescimento, se iniziata precocemente in età pediatrica. Tra i principali effetti secondari ricordiamo la possibile mielotossicità con ipoplasia midollare (rara alle dosi abituali e comunque reversibile alla sospensione del trattamento) e in alcuni casi oligospermia, anch’essa potenzialmente reversibile alla sospensione del trattamento.


Per qualunque ulteriore informazione/approfondimento:
Dr.ssa Daniela Cuzzubbo
Medico di Riferimento Malattia Drepanocitica

SS Trapianti di midollo e Terapie avanzate
Centro di Eccellenza di Ematologia e Oncologia
AOU Meyer